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Benvenuti nel Dudes Club Italiano

  1. Benvenuti nel Dudes Club Italiano.
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  • Amiga Unicornundefined Offline
    Amiga Unicornundefined Offline
    Amiga Unicorn
    Dudi
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    #1

    Non dormo da giorni.
    La notte è una distesa grigia e umida, un lenzuolo che mi soffoca e mi avvolge.
    Ho provato a restare immobile, ad ascoltare il ticchettio dell’orologio, sperando che il tempo mi ipnotizzasse. Invece ogni battito è un colpo al petto, un richiamo al pensiero che non smette mai di rodere.

    Esco a camminare. Il buio della strada mi accoglie come un vecchio complice, ma non c’è conforto. L’aria è densa, impregnata di un silenzio ostinato. Non passa nessuno. Nemmeno i gatti hanno voglia di muoversi. Le serrande abbassate mi guardano con occhi spenti. Penso che anche loro, in fondo, sentano la stessa desolazione che sento io.

    Il giorno non porta sollievo. Le tende lasciano filtrare una luce che non scalda, un bianco slavato che mi fa male agli occhi. Apro la finestra: il vento porta con sé l’odore di qualcosa di distante e irrimediabilmente perduto. Lo sento nei polmoni, nello stomaco, nelle ossa. Mi appoggio al davanzale e resto lì, fermo, mentre un pensiero circolare mi morde la testa.

    Mangiare è diventato un atto meccanico, senza gusto. Il pane si sbriciola tra le dita, il caffè è amaro e tiepido. Non ho fame. Non ho sete. Solo una fame diversa, una sete che niente può placare. Ho provato a leggere, a guardare un film, a scrivere. Tutto si scioglie in pochi minuti in quella sostanza vischiosa che è l’ansia.

    La gente intorno non capisce. Mi parlano con parole piene, dense, e io rispondo con vuoti. Mi chiedono cosa ho, e io scuoto la testa, come se non sapessi. In realtà lo so fin troppo bene, ma dirlo sarebbe come strappare un velo che, per quanto opaco, ancora mi protegge.

    Ogni volta che passo davanti al mare, sento una fitta che parte dal collo e scende giù, fin nello stomaco. Le onde si muovono lente, indifferenti, come se non portassero nessun peso. Ma io lo porto, e ogni loro risacca sembra ricordarmelo. L’orizzonte non è più un confine, è una ferita.

    Ho iniziato a evitare certi luoghi. Le piazze soleggiate, le voci allegre, i pomeriggi spensierati: mi feriscono più di qualsiasi ricordo. Vedo le persone ridere, brindare, scambiarsi promesse leggere, e dentro di me qualcosa si tende, pronto a spezzarsi. Cammino altrove, scelgo strade secondarie, marciapiedi crepati, muri scrostati. Ci sono meno occhi lì, e meno pericoli di inciampare in ciò che non voglio affrontare.

    Eppure anche da lontano, anche nascosto, tutto torna sempre a galla.
    Di notte, nel buio, sento il rumore delle onde anche se non c’è mare vicino.
    Di giorno, nel traffico, nei clacson, nei passi frettolosi, sento echi di quella stessa vibrazione che mi tiene sveglio.

    Ho iniziato a contare i giorni, ma poi ho smesso: non serviva a niente. Ho provato a scrivere per dare un nome a ciò che sento, ma la penna si ferma sempre nello stesso punto, e io resto lì a fissare l’inchiostro, con la mano che trema.

    Ci sono mattine in cui credo di poter reagire. Apro la finestra, lascio entrare l’aria, mi vesto, esco. E per qualche ora mi illudo che le cose siano più leggere, che tutto sia un malinteso, che basterà poco per tornare a respirare. Ma poi arriva un dettaglio — una parola, un colore, un odore — e la morsa ricomincia. È come se il mondo fosse pieno di mine pronte a esplodere, e io ci camminassi sopra a piedi nudi.

    Ho visto altri soffrire, e ho pensato che fosse diverso, che fosse sopportabile. Mi sbagliavo. Questa è una fame che non si placa, una sete che non trova acqua. Questa è un’inquietudine che non ha stagione, che non conosce tregua. Ogni alba è solo un tramonto rovesciato.

    La notte scorsa mi sono svegliato con il cuore che batteva come un tamburo. Ho acceso la luce, ho guardato le pareti. Bianche, lisce, silenziose. Ho sentito un vuoto nello stomaco, un freddo nei polsi. Ho pensato: “Non può continuare così. Qualcosa deve cambiare.” Ho camminato fino alla cucina, ho versato un bicchiere d’acqua. L’ho bevuto piano, cercando di capire se era questo che volevo. Non lo era.

    Non lo è mai.

    È che i balneari sono in crisi. In crisi, capite?

    Come puoi vivere, se i balneari sono in crisi?


    Kubernetes non e' Euro 5, per cui non puo' girare in centro. (N. Bonaparte, PhD in Computer Science)

    Matrix: @uriel:mtrx.keinpfusch.net
    Fedi: @uriel@x.keinpfusch.net

    Cerchioundefined Cioccolataio Svizzereseundefined cicerchiaundefined Charlieundefined Bibibibodibibuundefined 5 Replies Last reply
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    5
    • Amiga Unicornundefined Amiga Unicorn

      Non dormo da giorni.
      La notte è una distesa grigia e umida, un lenzuolo che mi soffoca e mi avvolge.
      Ho provato a restare immobile, ad ascoltare il ticchettio dell’orologio, sperando che il tempo mi ipnotizzasse. Invece ogni battito è un colpo al petto, un richiamo al pensiero che non smette mai di rodere.

      Esco a camminare. Il buio della strada mi accoglie come un vecchio complice, ma non c’è conforto. L’aria è densa, impregnata di un silenzio ostinato. Non passa nessuno. Nemmeno i gatti hanno voglia di muoversi. Le serrande abbassate mi guardano con occhi spenti. Penso che anche loro, in fondo, sentano la stessa desolazione che sento io.

      Il giorno non porta sollievo. Le tende lasciano filtrare una luce che non scalda, un bianco slavato che mi fa male agli occhi. Apro la finestra: il vento porta con sé l’odore di qualcosa di distante e irrimediabilmente perduto. Lo sento nei polmoni, nello stomaco, nelle ossa. Mi appoggio al davanzale e resto lì, fermo, mentre un pensiero circolare mi morde la testa.

      Mangiare è diventato un atto meccanico, senza gusto. Il pane si sbriciola tra le dita, il caffè è amaro e tiepido. Non ho fame. Non ho sete. Solo una fame diversa, una sete che niente può placare. Ho provato a leggere, a guardare un film, a scrivere. Tutto si scioglie in pochi minuti in quella sostanza vischiosa che è l’ansia.

      La gente intorno non capisce. Mi parlano con parole piene, dense, e io rispondo con vuoti. Mi chiedono cosa ho, e io scuoto la testa, come se non sapessi. In realtà lo so fin troppo bene, ma dirlo sarebbe come strappare un velo che, per quanto opaco, ancora mi protegge.

      Ogni volta che passo davanti al mare, sento una fitta che parte dal collo e scende giù, fin nello stomaco. Le onde si muovono lente, indifferenti, come se non portassero nessun peso. Ma io lo porto, e ogni loro risacca sembra ricordarmelo. L’orizzonte non è più un confine, è una ferita.

      Ho iniziato a evitare certi luoghi. Le piazze soleggiate, le voci allegre, i pomeriggi spensierati: mi feriscono più di qualsiasi ricordo. Vedo le persone ridere, brindare, scambiarsi promesse leggere, e dentro di me qualcosa si tende, pronto a spezzarsi. Cammino altrove, scelgo strade secondarie, marciapiedi crepati, muri scrostati. Ci sono meno occhi lì, e meno pericoli di inciampare in ciò che non voglio affrontare.

      Eppure anche da lontano, anche nascosto, tutto torna sempre a galla.
      Di notte, nel buio, sento il rumore delle onde anche se non c’è mare vicino.
      Di giorno, nel traffico, nei clacson, nei passi frettolosi, sento echi di quella stessa vibrazione che mi tiene sveglio.

      Ho iniziato a contare i giorni, ma poi ho smesso: non serviva a niente. Ho provato a scrivere per dare un nome a ciò che sento, ma la penna si ferma sempre nello stesso punto, e io resto lì a fissare l’inchiostro, con la mano che trema.

      Ci sono mattine in cui credo di poter reagire. Apro la finestra, lascio entrare l’aria, mi vesto, esco. E per qualche ora mi illudo che le cose siano più leggere, che tutto sia un malinteso, che basterà poco per tornare a respirare. Ma poi arriva un dettaglio — una parola, un colore, un odore — e la morsa ricomincia. È come se il mondo fosse pieno di mine pronte a esplodere, e io ci camminassi sopra a piedi nudi.

      Ho visto altri soffrire, e ho pensato che fosse diverso, che fosse sopportabile. Mi sbagliavo. Questa è una fame che non si placa, una sete che non trova acqua. Questa è un’inquietudine che non ha stagione, che non conosce tregua. Ogni alba è solo un tramonto rovesciato.

      La notte scorsa mi sono svegliato con il cuore che batteva come un tamburo. Ho acceso la luce, ho guardato le pareti. Bianche, lisce, silenziose. Ho sentito un vuoto nello stomaco, un freddo nei polsi. Ho pensato: “Non può continuare così. Qualcosa deve cambiare.” Ho camminato fino alla cucina, ho versato un bicchiere d’acqua. L’ho bevuto piano, cercando di capire se era questo che volevo. Non lo era.

      Non lo è mai.

      È che i balneari sono in crisi. In crisi, capite?

      Come puoi vivere, se i balneari sono in crisi?

      Cerchioundefined Online
      Cerchioundefined Online
      Cerchio
      Dudi
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      #2

      Amiga Unicorn sembra un racconto di Fredric Brown

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      • Amiga Unicornundefined Amiga Unicorn

        Non dormo da giorni.
        La notte è una distesa grigia e umida, un lenzuolo che mi soffoca e mi avvolge.
        Ho provato a restare immobile, ad ascoltare il ticchettio dell’orologio, sperando che il tempo mi ipnotizzasse. Invece ogni battito è un colpo al petto, un richiamo al pensiero che non smette mai di rodere.

        Esco a camminare. Il buio della strada mi accoglie come un vecchio complice, ma non c’è conforto. L’aria è densa, impregnata di un silenzio ostinato. Non passa nessuno. Nemmeno i gatti hanno voglia di muoversi. Le serrande abbassate mi guardano con occhi spenti. Penso che anche loro, in fondo, sentano la stessa desolazione che sento io.

        Il giorno non porta sollievo. Le tende lasciano filtrare una luce che non scalda, un bianco slavato che mi fa male agli occhi. Apro la finestra: il vento porta con sé l’odore di qualcosa di distante e irrimediabilmente perduto. Lo sento nei polmoni, nello stomaco, nelle ossa. Mi appoggio al davanzale e resto lì, fermo, mentre un pensiero circolare mi morde la testa.

        Mangiare è diventato un atto meccanico, senza gusto. Il pane si sbriciola tra le dita, il caffè è amaro e tiepido. Non ho fame. Non ho sete. Solo una fame diversa, una sete che niente può placare. Ho provato a leggere, a guardare un film, a scrivere. Tutto si scioglie in pochi minuti in quella sostanza vischiosa che è l’ansia.

        La gente intorno non capisce. Mi parlano con parole piene, dense, e io rispondo con vuoti. Mi chiedono cosa ho, e io scuoto la testa, come se non sapessi. In realtà lo so fin troppo bene, ma dirlo sarebbe come strappare un velo che, per quanto opaco, ancora mi protegge.

        Ogni volta che passo davanti al mare, sento una fitta che parte dal collo e scende giù, fin nello stomaco. Le onde si muovono lente, indifferenti, come se non portassero nessun peso. Ma io lo porto, e ogni loro risacca sembra ricordarmelo. L’orizzonte non è più un confine, è una ferita.

        Ho iniziato a evitare certi luoghi. Le piazze soleggiate, le voci allegre, i pomeriggi spensierati: mi feriscono più di qualsiasi ricordo. Vedo le persone ridere, brindare, scambiarsi promesse leggere, e dentro di me qualcosa si tende, pronto a spezzarsi. Cammino altrove, scelgo strade secondarie, marciapiedi crepati, muri scrostati. Ci sono meno occhi lì, e meno pericoli di inciampare in ciò che non voglio affrontare.

        Eppure anche da lontano, anche nascosto, tutto torna sempre a galla.
        Di notte, nel buio, sento il rumore delle onde anche se non c’è mare vicino.
        Di giorno, nel traffico, nei clacson, nei passi frettolosi, sento echi di quella stessa vibrazione che mi tiene sveglio.

        Ho iniziato a contare i giorni, ma poi ho smesso: non serviva a niente. Ho provato a scrivere per dare un nome a ciò che sento, ma la penna si ferma sempre nello stesso punto, e io resto lì a fissare l’inchiostro, con la mano che trema.

        Ci sono mattine in cui credo di poter reagire. Apro la finestra, lascio entrare l’aria, mi vesto, esco. E per qualche ora mi illudo che le cose siano più leggere, che tutto sia un malinteso, che basterà poco per tornare a respirare. Ma poi arriva un dettaglio — una parola, un colore, un odore — e la morsa ricomincia. È come se il mondo fosse pieno di mine pronte a esplodere, e io ci camminassi sopra a piedi nudi.

        Ho visto altri soffrire, e ho pensato che fosse diverso, che fosse sopportabile. Mi sbagliavo. Questa è una fame che non si placa, una sete che non trova acqua. Questa è un’inquietudine che non ha stagione, che non conosce tregua. Ogni alba è solo un tramonto rovesciato.

        La notte scorsa mi sono svegliato con il cuore che batteva come un tamburo. Ho acceso la luce, ho guardato le pareti. Bianche, lisce, silenziose. Ho sentito un vuoto nello stomaco, un freddo nei polsi. Ho pensato: “Non può continuare così. Qualcosa deve cambiare.” Ho camminato fino alla cucina, ho versato un bicchiere d’acqua. L’ho bevuto piano, cercando di capire se era questo che volevo. Non lo era.

        Non lo è mai.

        È che i balneari sono in crisi. In crisi, capite?

        Come puoi vivere, se i balneari sono in crisi?

        Cioccolataio Svizzereseundefined Offline
        Cioccolataio Svizzereseundefined Offline
        Cioccolataio Svizzerese
        Dudi
        wrote on last edited by
        #3

        Amiga Unicorn

        E’ un dramma epico, soprattutto per i loro “investimenti” rigorosamente fatti a nero e condonati.

        FARE LAVORI CHE ODIAMO PER COMPRARE CAZZATE CHE NON CI SERVONO PER PIACERE A PERSONE CHE DETESTIAMO.

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        • Amiga Unicornundefined Amiga Unicorn

          Non dormo da giorni.
          La notte è una distesa grigia e umida, un lenzuolo che mi soffoca e mi avvolge.
          Ho provato a restare immobile, ad ascoltare il ticchettio dell’orologio, sperando che il tempo mi ipnotizzasse. Invece ogni battito è un colpo al petto, un richiamo al pensiero che non smette mai di rodere.

          Esco a camminare. Il buio della strada mi accoglie come un vecchio complice, ma non c’è conforto. L’aria è densa, impregnata di un silenzio ostinato. Non passa nessuno. Nemmeno i gatti hanno voglia di muoversi. Le serrande abbassate mi guardano con occhi spenti. Penso che anche loro, in fondo, sentano la stessa desolazione che sento io.

          Il giorno non porta sollievo. Le tende lasciano filtrare una luce che non scalda, un bianco slavato che mi fa male agli occhi. Apro la finestra: il vento porta con sé l’odore di qualcosa di distante e irrimediabilmente perduto. Lo sento nei polmoni, nello stomaco, nelle ossa. Mi appoggio al davanzale e resto lì, fermo, mentre un pensiero circolare mi morde la testa.

          Mangiare è diventato un atto meccanico, senza gusto. Il pane si sbriciola tra le dita, il caffè è amaro e tiepido. Non ho fame. Non ho sete. Solo una fame diversa, una sete che niente può placare. Ho provato a leggere, a guardare un film, a scrivere. Tutto si scioglie in pochi minuti in quella sostanza vischiosa che è l’ansia.

          La gente intorno non capisce. Mi parlano con parole piene, dense, e io rispondo con vuoti. Mi chiedono cosa ho, e io scuoto la testa, come se non sapessi. In realtà lo so fin troppo bene, ma dirlo sarebbe come strappare un velo che, per quanto opaco, ancora mi protegge.

          Ogni volta che passo davanti al mare, sento una fitta che parte dal collo e scende giù, fin nello stomaco. Le onde si muovono lente, indifferenti, come se non portassero nessun peso. Ma io lo porto, e ogni loro risacca sembra ricordarmelo. L’orizzonte non è più un confine, è una ferita.

          Ho iniziato a evitare certi luoghi. Le piazze soleggiate, le voci allegre, i pomeriggi spensierati: mi feriscono più di qualsiasi ricordo. Vedo le persone ridere, brindare, scambiarsi promesse leggere, e dentro di me qualcosa si tende, pronto a spezzarsi. Cammino altrove, scelgo strade secondarie, marciapiedi crepati, muri scrostati. Ci sono meno occhi lì, e meno pericoli di inciampare in ciò che non voglio affrontare.

          Eppure anche da lontano, anche nascosto, tutto torna sempre a galla.
          Di notte, nel buio, sento il rumore delle onde anche se non c’è mare vicino.
          Di giorno, nel traffico, nei clacson, nei passi frettolosi, sento echi di quella stessa vibrazione che mi tiene sveglio.

          Ho iniziato a contare i giorni, ma poi ho smesso: non serviva a niente. Ho provato a scrivere per dare un nome a ciò che sento, ma la penna si ferma sempre nello stesso punto, e io resto lì a fissare l’inchiostro, con la mano che trema.

          Ci sono mattine in cui credo di poter reagire. Apro la finestra, lascio entrare l’aria, mi vesto, esco. E per qualche ora mi illudo che le cose siano più leggere, che tutto sia un malinteso, che basterà poco per tornare a respirare. Ma poi arriva un dettaglio — una parola, un colore, un odore — e la morsa ricomincia. È come se il mondo fosse pieno di mine pronte a esplodere, e io ci camminassi sopra a piedi nudi.

          Ho visto altri soffrire, e ho pensato che fosse diverso, che fosse sopportabile. Mi sbagliavo. Questa è una fame che non si placa, una sete che non trova acqua. Questa è un’inquietudine che non ha stagione, che non conosce tregua. Ogni alba è solo un tramonto rovesciato.

          La notte scorsa mi sono svegliato con il cuore che batteva come un tamburo. Ho acceso la luce, ho guardato le pareti. Bianche, lisce, silenziose. Ho sentito un vuoto nello stomaco, un freddo nei polsi. Ho pensato: “Non può continuare così. Qualcosa deve cambiare.” Ho camminato fino alla cucina, ho versato un bicchiere d’acqua. L’ho bevuto piano, cercando di capire se era questo che volevo. Non lo era.

          Non lo è mai.

          È che i balneari sono in crisi. In crisi, capite?

          Come puoi vivere, se i balneari sono in crisi?

          cicerchiaundefined Online
          cicerchiaundefined Online
          cicerchia
          Dudi
          wrote on last edited by
          #4

          Amiga Unicorn
          diopachistano!
          L’ho letto immaginandomi tutto. poi… poi… mi sono visto in 3D mentre una sonora risata partiva dalle mie viscere in dolby-surround!
          Cazzo, i balneari!
          E allora, diobalneare e madonnaspiaggiata a tutti!

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          • Gabrielundefined Offline
            Gabrielundefined Offline
            Gabriel
            Bowlers
            wrote on last edited by Gabriel
            #5

            Per forze sono in crisi poveretti, con tutto quello che devono pagare per le concessioni…

            “Non bastano tutti i cammelli del deserto per comprarti un amico” (Proverbio Arabo).
            Cit. Marrakech Express

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            • Amiga Unicornundefined Amiga Unicorn

              Non dormo da giorni.
              La notte è una distesa grigia e umida, un lenzuolo che mi soffoca e mi avvolge.
              Ho provato a restare immobile, ad ascoltare il ticchettio dell’orologio, sperando che il tempo mi ipnotizzasse. Invece ogni battito è un colpo al petto, un richiamo al pensiero che non smette mai di rodere.

              Esco a camminare. Il buio della strada mi accoglie come un vecchio complice, ma non c’è conforto. L’aria è densa, impregnata di un silenzio ostinato. Non passa nessuno. Nemmeno i gatti hanno voglia di muoversi. Le serrande abbassate mi guardano con occhi spenti. Penso che anche loro, in fondo, sentano la stessa desolazione che sento io.

              Il giorno non porta sollievo. Le tende lasciano filtrare una luce che non scalda, un bianco slavato che mi fa male agli occhi. Apro la finestra: il vento porta con sé l’odore di qualcosa di distante e irrimediabilmente perduto. Lo sento nei polmoni, nello stomaco, nelle ossa. Mi appoggio al davanzale e resto lì, fermo, mentre un pensiero circolare mi morde la testa.

              Mangiare è diventato un atto meccanico, senza gusto. Il pane si sbriciola tra le dita, il caffè è amaro e tiepido. Non ho fame. Non ho sete. Solo una fame diversa, una sete che niente può placare. Ho provato a leggere, a guardare un film, a scrivere. Tutto si scioglie in pochi minuti in quella sostanza vischiosa che è l’ansia.

              La gente intorno non capisce. Mi parlano con parole piene, dense, e io rispondo con vuoti. Mi chiedono cosa ho, e io scuoto la testa, come se non sapessi. In realtà lo so fin troppo bene, ma dirlo sarebbe come strappare un velo che, per quanto opaco, ancora mi protegge.

              Ogni volta che passo davanti al mare, sento una fitta che parte dal collo e scende giù, fin nello stomaco. Le onde si muovono lente, indifferenti, come se non portassero nessun peso. Ma io lo porto, e ogni loro risacca sembra ricordarmelo. L’orizzonte non è più un confine, è una ferita.

              Ho iniziato a evitare certi luoghi. Le piazze soleggiate, le voci allegre, i pomeriggi spensierati: mi feriscono più di qualsiasi ricordo. Vedo le persone ridere, brindare, scambiarsi promesse leggere, e dentro di me qualcosa si tende, pronto a spezzarsi. Cammino altrove, scelgo strade secondarie, marciapiedi crepati, muri scrostati. Ci sono meno occhi lì, e meno pericoli di inciampare in ciò che non voglio affrontare.

              Eppure anche da lontano, anche nascosto, tutto torna sempre a galla.
              Di notte, nel buio, sento il rumore delle onde anche se non c’è mare vicino.
              Di giorno, nel traffico, nei clacson, nei passi frettolosi, sento echi di quella stessa vibrazione che mi tiene sveglio.

              Ho iniziato a contare i giorni, ma poi ho smesso: non serviva a niente. Ho provato a scrivere per dare un nome a ciò che sento, ma la penna si ferma sempre nello stesso punto, e io resto lì a fissare l’inchiostro, con la mano che trema.

              Ci sono mattine in cui credo di poter reagire. Apro la finestra, lascio entrare l’aria, mi vesto, esco. E per qualche ora mi illudo che le cose siano più leggere, che tutto sia un malinteso, che basterà poco per tornare a respirare. Ma poi arriva un dettaglio — una parola, un colore, un odore — e la morsa ricomincia. È come se il mondo fosse pieno di mine pronte a esplodere, e io ci camminassi sopra a piedi nudi.

              Ho visto altri soffrire, e ho pensato che fosse diverso, che fosse sopportabile. Mi sbagliavo. Questa è una fame che non si placa, una sete che non trova acqua. Questa è un’inquietudine che non ha stagione, che non conosce tregua. Ogni alba è solo un tramonto rovesciato.

              La notte scorsa mi sono svegliato con il cuore che batteva come un tamburo. Ho acceso la luce, ho guardato le pareti. Bianche, lisce, silenziose. Ho sentito un vuoto nello stomaco, un freddo nei polsi. Ho pensato: “Non può continuare così. Qualcosa deve cambiare.” Ho camminato fino alla cucina, ho versato un bicchiere d’acqua. L’ho bevuto piano, cercando di capire se era questo che volevo. Non lo era.

              Non lo è mai.

              È che i balneari sono in crisi. In crisi, capite?

              Come puoi vivere, se i balneari sono in crisi?

              Charlieundefined Online
              Charlieundefined Online
              Charlie
              wrote on last edited by
              #6

              Amiga Unicorn beato te! io non dormo dopo aver visto il nuovo passo proibito per abbattere il patriarcatoh!!! mi sento come heater parisi quando ha visto la cuccarini per la prima volta. https://www.instagram.com/reel/DHoLnbLsbwp/?igsh=MWhzenRuamxsZ3FnNQ%3D%3D

              marcomarcoundefined 1 Reply Last reply
              🤔
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              • Charlieundefined Charlie

                Amiga Unicorn beato te! io non dormo dopo aver visto il nuovo passo proibito per abbattere il patriarcatoh!!! mi sento come heater parisi quando ha visto la cuccarini per la prima volta. https://www.instagram.com/reel/DHoLnbLsbwp/?igsh=MWhzenRuamxsZ3FnNQ%3D%3D

                marcomarcoundefined Offline
                marcomarcoundefined Offline
                marcomarco
                Banned
                wrote on last edited by
                #7

                Charlie said in Sofferenza.:

                Amiga Unicorn beato te! io non dormo dopo aver visto il nuovo passo proibito per abbattere il patriarcatoh!!! mi sento come heater parisi quando ha visto la cuccarini per la prima volta. https://www.instagram.com/reel/DHoLnbLsbwp/?igsh=MWhzenRuamxsZ3FnNQ%3D%3D

                Lo hanno registrato al ministero?
                https://www.youtube.com/watch?v=iV2ViNJFZC8

                Charlieundefined 1 Reply Last reply
                🔝
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                • marcomarcoundefined marcomarco

                  Charlie said in Sofferenza.:

                  Amiga Unicorn beato te! io non dormo dopo aver visto il nuovo passo proibito per abbattere il patriarcatoh!!! mi sento come heater parisi quando ha visto la cuccarini per la prima volta. https://www.instagram.com/reel/DHoLnbLsbwp/?igsh=MWhzenRuamxsZ3FnNQ%3D%3D

                  Lo hanno registrato al ministero?
                  https://www.youtube.com/watch?v=iV2ViNJFZC8

                  Charlieundefined Online
                  Charlieundefined Online
                  Charlie
                  wrote on last edited by
                  #8

                  marcomarco no. il ministero è casa del patriarcatoh. io fossi in loro andrei alla siae.

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                  • Amiga Unicornundefined Amiga Unicorn

                    Non dormo da giorni.
                    La notte è una distesa grigia e umida, un lenzuolo che mi soffoca e mi avvolge.
                    Ho provato a restare immobile, ad ascoltare il ticchettio dell’orologio, sperando che il tempo mi ipnotizzasse. Invece ogni battito è un colpo al petto, un richiamo al pensiero che non smette mai di rodere.

                    Esco a camminare. Il buio della strada mi accoglie come un vecchio complice, ma non c’è conforto. L’aria è densa, impregnata di un silenzio ostinato. Non passa nessuno. Nemmeno i gatti hanno voglia di muoversi. Le serrande abbassate mi guardano con occhi spenti. Penso che anche loro, in fondo, sentano la stessa desolazione che sento io.

                    Il giorno non porta sollievo. Le tende lasciano filtrare una luce che non scalda, un bianco slavato che mi fa male agli occhi. Apro la finestra: il vento porta con sé l’odore di qualcosa di distante e irrimediabilmente perduto. Lo sento nei polmoni, nello stomaco, nelle ossa. Mi appoggio al davanzale e resto lì, fermo, mentre un pensiero circolare mi morde la testa.

                    Mangiare è diventato un atto meccanico, senza gusto. Il pane si sbriciola tra le dita, il caffè è amaro e tiepido. Non ho fame. Non ho sete. Solo una fame diversa, una sete che niente può placare. Ho provato a leggere, a guardare un film, a scrivere. Tutto si scioglie in pochi minuti in quella sostanza vischiosa che è l’ansia.

                    La gente intorno non capisce. Mi parlano con parole piene, dense, e io rispondo con vuoti. Mi chiedono cosa ho, e io scuoto la testa, come se non sapessi. In realtà lo so fin troppo bene, ma dirlo sarebbe come strappare un velo che, per quanto opaco, ancora mi protegge.

                    Ogni volta che passo davanti al mare, sento una fitta che parte dal collo e scende giù, fin nello stomaco. Le onde si muovono lente, indifferenti, come se non portassero nessun peso. Ma io lo porto, e ogni loro risacca sembra ricordarmelo. L’orizzonte non è più un confine, è una ferita.

                    Ho iniziato a evitare certi luoghi. Le piazze soleggiate, le voci allegre, i pomeriggi spensierati: mi feriscono più di qualsiasi ricordo. Vedo le persone ridere, brindare, scambiarsi promesse leggere, e dentro di me qualcosa si tende, pronto a spezzarsi. Cammino altrove, scelgo strade secondarie, marciapiedi crepati, muri scrostati. Ci sono meno occhi lì, e meno pericoli di inciampare in ciò che non voglio affrontare.

                    Eppure anche da lontano, anche nascosto, tutto torna sempre a galla.
                    Di notte, nel buio, sento il rumore delle onde anche se non c’è mare vicino.
                    Di giorno, nel traffico, nei clacson, nei passi frettolosi, sento echi di quella stessa vibrazione che mi tiene sveglio.

                    Ho iniziato a contare i giorni, ma poi ho smesso: non serviva a niente. Ho provato a scrivere per dare un nome a ciò che sento, ma la penna si ferma sempre nello stesso punto, e io resto lì a fissare l’inchiostro, con la mano che trema.

                    Ci sono mattine in cui credo di poter reagire. Apro la finestra, lascio entrare l’aria, mi vesto, esco. E per qualche ora mi illudo che le cose siano più leggere, che tutto sia un malinteso, che basterà poco per tornare a respirare. Ma poi arriva un dettaglio — una parola, un colore, un odore — e la morsa ricomincia. È come se il mondo fosse pieno di mine pronte a esplodere, e io ci camminassi sopra a piedi nudi.

                    Ho visto altri soffrire, e ho pensato che fosse diverso, che fosse sopportabile. Mi sbagliavo. Questa è una fame che non si placa, una sete che non trova acqua. Questa è un’inquietudine che non ha stagione, che non conosce tregua. Ogni alba è solo un tramonto rovesciato.

                    La notte scorsa mi sono svegliato con il cuore che batteva come un tamburo. Ho acceso la luce, ho guardato le pareti. Bianche, lisce, silenziose. Ho sentito un vuoto nello stomaco, un freddo nei polsi. Ho pensato: “Non può continuare così. Qualcosa deve cambiare.” Ho camminato fino alla cucina, ho versato un bicchiere d’acqua. L’ho bevuto piano, cercando di capire se era questo che volevo. Non lo era.

                    Non lo è mai.

                    È che i balneari sono in crisi. In crisi, capite?

                    Come puoi vivere, se i balneari sono in crisi?

                    Bibibibodibibuundefined Offline
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                    Dudi
                    wrote on last edited by
                    #9

                    Amiga Unicorn zitto! Ti prego lasciamoli andare avanti così che ormai una vacanza ai tropici è diventata concorrenziale con viserbella.

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