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L’economia della Cina va bene o va male? - IL POST
Secondo le interpretazioni più accreditate, Xi Jinping ha deciso che le priorità della Cina devono essere altre. Il presidente cinese è convinto che il percorso economico seguito dall’Occidente abbia portato a società deboli, divise e deindustrializzate, troppo basate sulla finanza e dipendenti dal commercio con l’estero per la propria sopravvivenza.
Xi Jinping ha invece un obiettivo storico e politico: trasformare la Cina in un paese capace di gareggiare, ed eventualmente prevalere, nella competizione epocale con gli Stati Uniti. È disposto a farlo anche a costo di provocare storture nell’economia, e anche a discapito della prosperità immediata del paese e dei suoi cittadini.
Il modello di crescita voluto da Xi si basa sulle «nuove forze produttive di qualità», un’espressione che circola ormai da qualche anno e che descrive le industrie tecnologicamente avanzate che la Cina ritiene strategiche per il futuro, come l’intelligenza artificiale, le automobili elettriche, i pannelli solari, le tecnologie per la transizione energetica, i droni, le biotecnologie e così via.
[…]
L’idea è che questi cicli massacranti di competizione, in cui le aziende cinesi sono spinte a farsi una concorrenza estrema, consentiranno loro di superare in efficienza e in innovazione le aziende occidentali, e alla Cina di ottenere il controllo sulle tecnologie più importanti per il futuro. La Cina sta in un certo senso addestrando le sue aziende a diventare più competitive, più innovative e più pronte a dominare i mercati internazionali. Le storture economiche che ne derivano, anche se rallentano la crescita, sono ostacoli temporanei da sopportare per raggiungere il più importante obiettivo politico.Possiamo dire quello che vogliamo, ma sembra che il pallino del mondo, ora lo tengano loro…
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L’economia della Cina va bene o va male? - IL POST
Secondo le interpretazioni più accreditate, Xi Jinping ha deciso che le priorità della Cina devono essere altre. Il presidente cinese è convinto che il percorso economico seguito dall’Occidente abbia portato a società deboli, divise e deindustrializzate, troppo basate sulla finanza e dipendenti dal commercio con l’estero per la propria sopravvivenza.
Xi Jinping ha invece un obiettivo storico e politico: trasformare la Cina in un paese capace di gareggiare, ed eventualmente prevalere, nella competizione epocale con gli Stati Uniti. È disposto a farlo anche a costo di provocare storture nell’economia, e anche a discapito della prosperità immediata del paese e dei suoi cittadini.
Il modello di crescita voluto da Xi si basa sulle «nuove forze produttive di qualità», un’espressione che circola ormai da qualche anno e che descrive le industrie tecnologicamente avanzate che la Cina ritiene strategiche per il futuro, come l’intelligenza artificiale, le automobili elettriche, i pannelli solari, le tecnologie per la transizione energetica, i droni, le biotecnologie e così via.
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L’idea è che questi cicli massacranti di competizione, in cui le aziende cinesi sono spinte a farsi una concorrenza estrema, consentiranno loro di superare in efficienza e in innovazione le aziende occidentali, e alla Cina di ottenere il controllo sulle tecnologie più importanti per il futuro. La Cina sta in un certo senso addestrando le sue aziende a diventare più competitive, più innovative e più pronte a dominare i mercati internazionali. Le storture economiche che ne derivano, anche se rallentano la crescita, sono ostacoli temporanei da sopportare per raggiungere il più importante obiettivo politico.Possiamo dire quello che vogliamo, ma sembra che il pallino del mondo, ora lo tengano loro…
Non sono certo che vorrei vivere in un mondo come quello voluto dai cinesi, ma nemmeno quello voluto dagli americani è attraente.
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Se riescono a trovare un sistema sociale ed economico piu’ efficiente che li renda tecnologicamente dominanti, allora hanno una chance. Senza predominio tecnologico non si puo’ mai essere la superpotenza egemone.
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a me piaceva il mondo descritto in “a brave new world” di Huxley, circa.
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Se riescono a trovare un sistema sociale ed economico piu’ efficiente che li renda tecnologicamente dominanti, allora hanno una chance. Senza predominio tecnologico non si puo’ mai essere la superpotenza egemone.
brancalione said in Modello Cinese:
Senza predominio tecnologico non si puo’ mai essere la superpotenza egemone.
Ma neppure senza un predominio culturale, una religione, un mito.
Valeva per Roma, valeva per la Cina al suo apice (direi circa epoca Tang), vale per gli USA: il sogno americano, i cowboy, il rock’n’roll, Hollywood…Però mi pare, e dico mi pare, che il prestigio culturale degli USA, fino a 10 anni fa fortissimo nel mondo circa corrispondente alla Region 2 del DVD, mi pare vada un po’ scemando.
I ragazzi di oggi non mi pare stiano in fissa con le band americane.
Non c’è un Top Gun da andare a vedere al cinema per i paninari di oggi.
E non c’è una Marilyn Monroe, da 60 anni.Per ora la Cina non ha ancora fatto il colpaccio in questo senso, principalmente perché le “cose orientali” che hanno ammaliato l’Occidente sono finora venute da, o tramite, il Giappone, Hong Kong, eccetera.
Aspettiamo e vediamo.
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brancalione said in Modello Cinese:
Senza predominio tecnologico non si puo’ mai essere la superpotenza egemone.
Ma neppure senza un predominio culturale, una religione, un mito.
Valeva per Roma, valeva per la Cina al suo apice (direi circa epoca Tang), vale per gli USA: il sogno americano, i cowboy, il rock’n’roll, Hollywood…Però mi pare, e dico mi pare, che il prestigio culturale degli USA, fino a 10 anni fa fortissimo nel mondo circa corrispondente alla Region 2 del DVD, mi pare vada un po’ scemando.
I ragazzi di oggi non mi pare stiano in fissa con le band americane.
Non c’è un Top Gun da andare a vedere al cinema per i paninari di oggi.
E non c’è una Marilyn Monroe, da 60 anni.Per ora la Cina non ha ancora fatto il colpaccio in questo senso, principalmente perché le “cose orientali” che hanno ammaliato l’Occidente sono finora venute da, o tramite, il Giappone, Hong Kong, eccetera.
Aspettiamo e vediamo.
somedude qui però stai virando sul marketing… non so quanto i cinesi lavorino su quello. penso che una delle differenze sia proprio quella. poco o zero marketing. come diceva il proverbio: il cinese attende il corpo del nemico galleggiare sul fiume… e ora c’è trump… non bisogna sforzarsi troppo.
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somedude qui però stai virando sul marketing… non so quanto i cinesi lavorino su quello. penso che una delle differenze sia proprio quella. poco o zero marketing. come diceva il proverbio: il cinese attende il corpo del nemico galleggiare sul fiume… e ora c’è trump… non bisogna sforzarsi troppo.
Charlie said in Modello Cinese:
qui però stai virando sul marketing…
Possiamo chiamarlo anche “caciotta”, ma un’egemonia (o un impero), con un sacco di stati-clienti (risp. “colonie”) si costruisce da sempre necessariamente anche esportando (risp. “imponendo con la forza”) la propria lingua, cultura e pantheon religioso.
Controesempi non me ne vengono in mente.
Fissato questo, mi pare assolutamente ingenuo pensare che la Cina non possa e non voglia esportare a medio-lungo termine una cultura, eh.
Oltre 500 Istituti Confucio nel mondo, tra cui 20 in Italia, servono proprio a questo; per capirne le dinamiche, questa lettera di Maurizio Scarpari mi pare illuminante.
Gli Ic sono gli istituti culturali, fiore all’occhiello del soft power cinese, creati nel 2004 dallo Hanban, il potente ente statale, emanazione dell’Ufficio Propaganda del Partito comunista, cui è affidato il compito di diffondere la lingua e la cultura cinesi all’estero. Una struttura imponente, che dispone di grandi mezzi finanziari […] l’obiettivo è creare un’immagine positiva e attrattiva della Cina, in un momento in cui il Paese ha avviato un ambizioso progetto di espansione egemonica.
[…]
Da anni, nel mondo, la loro collocazione nelle università è motivo di un acceso dibattito a causa dell’influenza che questi istituti esercitano sugli atenei in cui sono incardinati […]
[…] il doppio ruolo di professore e condirettore di un Ic porta spesso all’autocensura […]La nostra Rai, del resto, mostra almeno da 10 anni film cinesi su Rai 5, come vera controprogrammazione per i western di Rete 4, familiarizzando il pubblico con Sun Wukong o i Briganti della Palude, e co-produce film cinesi che sbancano su RaiPlay.
Abbiamo già sostituito Elvis? No, però sarebbe stato inimmaginabile anche solo 20 anni fa…
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La direzione sembra una sorta di tecnocrazia “con caratteristiche cinesi”, dove il potere politico resta saldamente in mano al Partito Comunista, ma l’élite che orienta le decisioni è sempre più composta da ingegneri, scienziati e manager con background tecnico-industriale.
La biografia dei nuovi quadri cinesi, soprattutto quelli che stanno salendo nella gerarchia sotto Xi, molti non sono economisti né avvocati (come spesso accade in Occidente), ma ingegneri elettronici, esperti di aerospazio, specialisti di intelligenza artificiale, fisici dei materiali. Questo non è un caso: Xi vuole che il partito sia guidato da gente che capisce come funzionano le tecnologie strategiche, non solo da burocrati “di carta e timbro”.
I sovietici hanno provato a costruire un sistema guidato da ingegneri e scienziati, ma hanno fallito perché mancava la flessibilità economica e perché il sistema restava bloccato da burocrazia e ideologia.La Cina di Xi non vuole un sistema puramente centralizzato alla sovietica. Vuole una tecnocrazia competitiva, dove le aziende cinesi vengono spinte a farsi una guerra brutale sul mercato interno, il che genera innovazione, efficienza e prezzi bassissimi, per poi proiettarsi sul mercato globale.
Nel breve periodo funziona perché concentrare risorse e talento su settori strategici produce risultati rapidi.
Nel medio periodo (5 anni) regge perché il mercato interno è enorme, e la Cina ha ancora margini per spostare risorse, ridurre consumi e “spremere” efficienza dal sistema. La popolazione tollera i sacrifici se viene convinta che servono a far diventare la Cina una potenza rispettata e indipendente dall’Occidente. Però questo lo fanno solo le vecchie generazioni, chi è entrato nel mercato del lavoro dopo il 2000, non tollera più questo.
Nel lungo periodo (5-10 ann) i rischi esplodono se il Partito sbaglia strategia, non c’è un meccanismo di correzione “dal basso” (come il mercato o il pluralismo). Si crea inerzia e stagnazione, come in URSS. La popolazione cinese, ormai abituata a decenni di crescita e benessere crescente, non accetta più il sacrificio presente in nome della gloria futura. La competizione cinese è feroce, ma sempre dentro i confini definiti dallo Stato. Innovazioni radicali e disruptive tendono a nascere meglio in ambienti più caotici e meno controllati. Meno giovani, meno dinamismo, più costi sociali. È una bomba a orologeria che questo modello non può gestire.
Xi sta scommettendo che la Cina diventerà abbastanza forte tecnologicamente prima che questi problemi strutturali esplodano.
Questo può avvenire solo se l’occidente continua a comprare, in caso contrario crolla il castello di carta.
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La direzione sembra una sorta di tecnocrazia “con caratteristiche cinesi”, dove il potere politico resta saldamente in mano al Partito Comunista, ma l’élite che orienta le decisioni è sempre più composta da ingegneri, scienziati e manager con background tecnico-industriale.
La biografia dei nuovi quadri cinesi, soprattutto quelli che stanno salendo nella gerarchia sotto Xi, molti non sono economisti né avvocati (come spesso accade in Occidente), ma ingegneri elettronici, esperti di aerospazio, specialisti di intelligenza artificiale, fisici dei materiali. Questo non è un caso: Xi vuole che il partito sia guidato da gente che capisce come funzionano le tecnologie strategiche, non solo da burocrati “di carta e timbro”.
I sovietici hanno provato a costruire un sistema guidato da ingegneri e scienziati, ma hanno fallito perché mancava la flessibilità economica e perché il sistema restava bloccato da burocrazia e ideologia.La Cina di Xi non vuole un sistema puramente centralizzato alla sovietica. Vuole una tecnocrazia competitiva, dove le aziende cinesi vengono spinte a farsi una guerra brutale sul mercato interno, il che genera innovazione, efficienza e prezzi bassissimi, per poi proiettarsi sul mercato globale.
Nel breve periodo funziona perché concentrare risorse e talento su settori strategici produce risultati rapidi.
Nel medio periodo (5 anni) regge perché il mercato interno è enorme, e la Cina ha ancora margini per spostare risorse, ridurre consumi e “spremere” efficienza dal sistema. La popolazione tollera i sacrifici se viene convinta che servono a far diventare la Cina una potenza rispettata e indipendente dall’Occidente. Però questo lo fanno solo le vecchie generazioni, chi è entrato nel mercato del lavoro dopo il 2000, non tollera più questo.
Nel lungo periodo (5-10 ann) i rischi esplodono se il Partito sbaglia strategia, non c’è un meccanismo di correzione “dal basso” (come il mercato o il pluralismo). Si crea inerzia e stagnazione, come in URSS. La popolazione cinese, ormai abituata a decenni di crescita e benessere crescente, non accetta più il sacrificio presente in nome della gloria futura. La competizione cinese è feroce, ma sempre dentro i confini definiti dallo Stato. Innovazioni radicali e disruptive tendono a nascere meglio in ambienti più caotici e meno controllati. Meno giovani, meno dinamismo, più costi sociali. È una bomba a orologeria che questo modello non può gestire.
Xi sta scommettendo che la Cina diventerà abbastanza forte tecnologicamente prima che questi problemi strutturali esplodano.
Questo può avvenire solo se l’occidente continua a comprare, in caso contrario crolla il castello di carta.
vertigo E non dimentichiamo mai che i negri hanno il ritmo nel sangue.
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vertigo E non dimentichiamo mai che i negri hanno il ritmo nel sangue.
Amiga Unicorn said in Modello Cinese:
vertigo E non dimentichiamo mai che i negri hanno il ritmo nel sangue.
Che sia questa la risposta alla domanda qui sotto (da “Le scienze”, 1 nov. 1968)?
Sì, è un articolo reale.
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Amiga Unicorn said in Modello Cinese:
vertigo E non dimentichiamo mai che i negri hanno il ritmo nel sangue.
Che sia questa la risposta alla domanda qui sotto (da “Le scienze”, 1 nov. 1968)?
Sì, è un articolo reale.
rossomoto che poi sarebbe questo Caplan, N. S., & Paige, J. M. (1968). A study of ghetto rioters. Scientific American, 219(2), 15-21.