Parto da qui.
Ho il sospetto che siamo in netta maggioranza provenienti da roba STEM in questo forum
[...]
"in Italia non esiste una cultura umanistica; esiste una cultura antiscientifica"
[...]
Più che sospetto lo direi certezza. I letterati a malapena sanno cos'è un forum, loro discutono nelle riviste. È naturale che ci sia un fortissimo bias su stem
Ecco, a tal proposito una storia divertente che penso potrete capire.
Ormai tanto tempo fa, un rinomato professore di filosofia di un'università italiana quadratica media (chiamiamolo "prof. dr. Tritacazzi") mi iniziò a mandare periodicamente degli articoli da referare per una rivista filosofica di medio prestigio. Tutti gli articoli che ho ricevuto erano per lo più rumore bianco, alla meglio esercizi di bella scrittura, e alla peggio spazzatura bella e buona infiocchettata da gente che non sa fare la derivata del coseno.
Uno in particolare, mi costrinse a scrivere come segue il report (lo traduco in italiano non perché sospetto non capiate l'inglese, ma perché è prassi molto comune avere la massima segretezza su questi testi -per proteggere il double blind-, e mi sono sempre fidato dell'idea che quando una parola è su internet è di dominio pubblico, non importa quanto piccolo il megafono...).
L'articolo che ho sottomano rappresenta un altro terribile esempio di ciò che ho finito per chiamare la "fossa del filosofo": gli autori presuppongono che il lettore abbia una comprensione intuitiva di un oggetto 𝐖 che vogliono classificare usando un particolare linguaggio formale 𝐒, il quale però non è mai rigorosamente definito – peggio: la sua esistenza non viene nemmeno menzionata. Ancor più preoccupante, 𝐖 viene trattato come un oggetto sintattico, codificato in 𝐒, ma il passaggio tra l'evidenza empirica e la sintassi non viene mai adeguatamente spiegato; anche postulando l'esistenza di 𝐖, di un linguaggio 𝐒 sufficientemente espressivo, e di tutto ciò che ne segue, il sistema logico risultante non viene mai esaminato, né tantomeno si dimostra che sia coerente.
Nel momento in cui possono scrivere una sequenza di simboli su carta, gli autori sostengono, attraverso pseudo-manipolazioni formali che imitano la pratica matematica, di aver raggiunto una comprensione circa le proprietà di 𝐒 (mai definite) che sarebbero criptomorfe a proprietà "sensibili", cioè empiricamente rilevabili, di 𝐖 (un oggetto inconoscibile). Nel farlo, impiegano una notazione proto-matematica affidandosi ingenuamente a proprietà elementari del calcolo proposizionale.
Sarebbe confortante se un approccio così ingenuo portasse a qualche risultato.
Per chiarire cosa intendo, consideriamo le prime tre righe della prima frase della prima pagina dell'articolo:
[supponiamo che valga la seguente condizione per una relazione 𝑅:] se gli 𝑥 stanno in relazione 𝑅 con 𝑦, allora esistono un fatto 𝐴, un fatto 𝐵, e una pluralità di fatti Δ tali che gli 𝑥 sono costituenti di 𝐴, 𝑦 è un costituente di 𝐵, 𝐴 appartiene a Δ, e Δ fonda (ground) 𝐵.
Queste sono letteralmente le prime parole del testo. Chi sono gli "𝑥"? Quanti sono? Il numero di 𝑥 è limitato superiormente da un cardinale κ? Quanto grande? Perché non più piccolo, perché non più grande? Cos’è 𝑦, e perché 𝑦 è un singoletto? Presumo che gli 𝑥 siano elementi di un insieme (… cos’altro potrebbe essere un "fatto", per far sì che abbia dei "costituenti"?), e 𝑦 sia un altro elemento di un insieme 𝐵. Come possono gli autori non accorgersi che la natura di 𝐴 e 𝐵 è lasciata non specificata? Che cosa succede se 𝐴 = ∅? E se 𝐵 = ∅? Cos’è una pluralità di fatti (e cosa succede se Δ = ∅?) e in quale relazione stanno "fatti" e "proposizioni"? Come viene definita la proprietà di fondamento (grounding)? [l'autore che chi ha sottomesso questo articolo pretende di vivisezionare, chiamiamolo "Ciccio"] ha mai esaminato una formalizzazione della relazione di fondamento? Gli autori l’hanno fatto prima di questa impresa piuttosto vuota?
Permettersi la leggerezza di discutere temi così sottili, senza affrontare nessuna di queste domande, è un insulto palese al processo della ricerca filosofica razionale e scientifica.
È evidente che la massa di simboli in questo articolo, e apparentemente anche nelle pubblicazioni di [Ciccio], cerca di scimmiottare il gergo matematico; è anche evidente quanto drammaticamente fallisca: se la frase sopra citata fosse stata scritta da uno laureando in matematica, nel tentativo di argomentare una dimostrazione o una definizione, l'insegnante non avrebbe altra scelta che bocciare lo studente, consigliandogli di riconsiderare le proprie scelte di vita, di procurarsi un manuale di Logica – o meglio ancora, di fare entrambe le cose.
A questo punto, consiglio agli autori la stessa cosa, e propongo questa modesta formalizzazione del loro sproloquio:
[mi dilungo poi in una discussione piuttosto tecnica che non vale la pena ripetere]
Vantaggi di questo approccio formale: stabilendo le regole di un sistema deduttivo, possiamo modellare sintatticamente il significato di "fondamento" (qualcosa come "essere vero in virtù di", se capisco bene) acquisito nel linguaggio comune. Da lì possiamo calcolare, cosa che questo sproloquio non solo non permette, ma impedisce. Solo dopo questa formalizzazione abbiamo un modo rigoroso per dedurre varie proprietà della relazione di fondamento, fino al punto di porre congetture.
Svantaggio: in questa prospettiva, le parole hanno significato, quindi bisogna maneggiarle con cura.
In breve, voler togliere gli "impicci" [parola che appare nel titolo dell'articolo] nascosti tra le righe di una "teoria" di qualità così bassa equivale a lucidare le maniglie delle porte in una casa senza acqua corrente, elettricità o vetri alle finestre. Ci sono modi meno barocchi e verbosi di sprecare il proprio tempo.
L'articolo alla fine è stato pubblicato; curioso, vado a vedere cosa ne pensava il reviewer 1, che apparentemente ne loda la precisione e la chiarezza espositiva.
Il professor dottor Tritacazzi, da quel giorno, ha smesso di mandarmi articoli da referare. Secondo voi perché?