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  • La Cancel Culture non è di Destra ne è di Sinistra, è religiosa.
    vertigoundefined vertigo

    Alla radice dell’eccezionalismo americano vi è la dottrina religiosa Calvinista. L’eccezionalismo americano, l’idea che gli Stati Uniti abbiano un ruolo unico e superiore nella storia, ha radici nel calvinismo, portato dai Puritani nel XVII secolo. Questi coloni, influenzati da Giovanni Calvino, vedevano l’America come una “nuova Israele”, scelta da Dio per un destino speciale. Dopo essere fuggiti dalla terra d’Egitto, dove erano perseguitati come gli ebrei nella bibbia, ossia l’Europa.
    William Bradford e John Winthrop, leader delle colonie di Plymouth e della baia del Massachusetts negli anni 1620-1630 sono alla base di questo approccio Bradford invocò immagini dell’Antico Testamento al suo arrivo Winthrop descrisse il loro insediamento come una “città su una collina” (da Matteo 5:14), sottintendendo una società cristiana modello sotto l’occhio vigile di Dio che avrebbe ispirato il mondo.
    Essi crearono la teologia del patto, in cui le comunità stipulavano accordi vincolanti con Dio e tra loro per la prosperità reciproca e la responsabilità morale, costituì la base della prima forma di governo americana, il Mayflower Compact (1620) ossia il patto del Mayflower rifletteva i principi calvinisti di autogoverno e responsabilità collettiva.
    Questo si è evoluto nel concetto di Manifest Destiny e nella “religione civile” americana, che ancora oggi influenza la retorica politica (es. Reagan, Bush). Il calvinismo, con la sua enfasi su provvidenza e responsabilità, ha dato una base teologica all’eccezionalismo, rendendo gli USA un faro morale, con effetti sia positivi (promozione della democrazia) che controversi (interventismo).
    Il Calvinismo è noto per la sua dottrina della predestinazione, secondo cui alcune persone sono destinate alla salvezza e altre alla dannazione, indipendentemente dalle loro azioni. Questo ha portato a una forte enfasi sul moralismo e sulla necessità di dimostrare pubblicamente la propria virtuosità.
    Dio ha già deciso chi si salva e chi no, annullando il libero arbitrio. La dottrina Calvinista della predestinazione si basa su un pensiero dicotomico infantile di tipo manicheo in cui esistono bene e male e non ci sono zone grigie, ma solo eletti e dannati, chi è dannato lo è perché è predestinato ad esserlo. Questo porta ad una forte enfasi sulla mortalità pubblica ed in genere presenza di doppia morale. Il peccato era collettivo, e la comunità era tenuta a identificare e punire i trasgressori per evitare la corruzione morale. Ogni individuo aveva un forte incentivo a mostrare di essere uno dei salvati e non uno dei dannati. Se si fosse manifestato che era uno dei dannati allora egli sarebbe stato escluso dalla comunità e condannato a morire.
    La dottrina calvinista della predestinazione come un elemento centrale, che crea una visione dicotomica (eletti vs. dannati) simile al manicheismo. Questo dualismo morale, bene contro male, senza zone grigie, è una caratteristica chiave che si ritrova sia nel wokeismo che nel movimento MAGA.
    Il wokeism collega il concetto di “privilegio” al peccato originale calvinista, dove categorie come i bianchi (o altri gruppi privilegiati) sono implicitamente “colpevoli” e devono dimostrare la loro redenzione attraverso atti pubblici di alleanza con le minoranze oppresse. La “cancel culture” funziona come una moderna caccia alle streghe, dove chi devia dagli standard morali progressisti è escluso o pubblicamente umiliato, proprio come i puritani punivano i peccatori per mantenere la purezza della comunità.
    Molti sostenitori woke proclamano pubblicamente virtù (es. denunciare razzismo o sessismo), ma in privato possono mantenere comportamenti contraddittori, come beneficiare di privilegi che criticano o ignorare le proprie incoerenze (es. vivere in quartieri esclusivi mentre si predica l’uguaglianza). Figure come Cuomo, Clinton, Weinstein o altri accusati di ipocrisia o comportamenti sessualmente predatori, mostrano come la performatività morale possa mascherare fallimenti personali, proprio come nel puritanesimo calvinista. La “cancel culture” amplifica questa sorveglianza morale, ma spesso chi giudica non è immune dalle stesse critiche.
    Nel calvinismo, il peccato originale rende tutti colpevoli, ma gli eletti devono dimostrare la loro grazia. Nel wokeismo, il “privilegio” (es. razziale, di genere) funziona come una colpa innata, che richiede atti di penitenza (attivismo, autocritica) per essere redenti. Entrambi i sistemi spingono a un’auto-monitorizzazione costante.
    Allo stesso modo, il movimento MAGA adotta una visione manichea, dividendo il mondo tra “veri americani” (eletti) e nemici (woke, immigrati, élite globaliste), percepiti come corrotti o “dannati”. La retorica di Trump, che dipinge i suoi avversari come minacce esistenziali all’America, riflette questa logica binaria, con un’enfasi sulla necessità di “purificare” la nazione da influenze esterne o ideologie woke.
    Il movimento MAGA non è esente dalla doppia morale. Molti leader o sostenitori MAGA si presentano come difensori dei valori cristiani o della famiglia tradizionale, ma scandali personali (es. accuse di corruzione, infedeltà o comportamenti immorali) rivelano discrepanze tra la retorica pubblica e le azioni private. L’enfasi sulla “purezza” nazionale (es. anti-immigrazione, anti-woke) diventa una maschera per nascondere contraddizioni interne, proprio come i puritani nascondevano i loro peccati dietro la virtù pubblica.
    La “cancel culture” è la medesima per entrambi ricorda i tribunali puritani, dove i trasgressori erano pubblicamente denunciati per mantenere la purezza della comunità. Come nel calvinismo, non c’è spazio per il perdono o la redenzione: chi è “cancellato” è spesso escluso senza appello, simile a un “dannato”. L’intolleranza verso il dissenso interno (es. chi critica la dottrina viene etichettato come traditore) è un’eco dell’espulsione degli eretici nelle comunità calviniste. Questo dogmatismo rende difficile il dialogo o l’autocritica, proprio come nel puritanesimo.
    Entrambi operano in un quadro manicheo (bene vs. male), richiedono una performatività morale pubblica e usano la sorveglianza collettiva per identificare i “peccatori” (woke per MAGA, razzisti/sessisti per i woke). Entrambi derivano dall’idea calvinista che la comunità abbia una missione divina o morale (salvare l’America per MAGA, purificarla per i woke).
    Sia il movimento MAGA che il movimento woke hanno sviluppato forme di “cancel culture”, ciascuna mirata a “cancellare” l’altro, in un riflesso speculare della loro eredità calvinista. Entrambi adottano dinamiche di sorveglianza morale e di esclusione per chi non si conforma ai loro standard, cercando di epurare l’altro dalla sfera pubblica.

    Whatever, man

  • Ciao a tutti
    vertigoundefined vertigo

    Ciao a tutti sono Vertigo 43 anni, ex accademico, analista di dati, metallaro e fotografo per passione.

    Presentatevi

  • La democrazia richiede confronto. Il manicheismo politico richiede solo nemici.
    vertigoundefined vertigo

    somedude fino ad un certo punto conta lo status

    Il problema risiede principalmente nella demografia aziendale. Le imprese, nella stragrande maggioranza dei casi, sono piccole, poco digitalizzate, con metodi di produzione che sembrano usciti da un manuale pre-globalizzazione. Questa struttura produttiva genera solo ciò che può: lavori poco qualificati, mal pagati, poco attrattivi.
    Il problema centrale, e spesso volutamente ignorato, è proprio questo: la centralità delle PMI, le piccole e medie imprese. Esse sono state per decenni raccontate come la “spina dorsale” dell’economia italiana, ma oggi assomigliano sempre più a una zavorra. Sono aziende che raramente innovano, che spesso rimangono nella sfera familiare, allergiche alla managerialità, incapaci di investire davvero in ricerca e sviluppo o di scalare verso mercati più grandi.
    Quando ce la fanno, è per eccezione, non per sistema. Non di rado sopravvivono grazie a un mix di agevolazioni pubbliche, evasione fiscale o sfruttamento del lavoro. Le PMI sono tantissime (oltre il 98% delle imprese italiane) e rappresentano un bacino elettorale enorme. Nessun partito ha il coraggio di andare contro di loro. Anzi, tutti promettono tagli fiscali, incentivi, semplificazioni ad hoc, esenzioni su misura. Difendere le PMI porta voti, e attaccarle è politicamente suicida. Inoltre, un sistema basato su piccole realtà rende più facile frammentare le responsabilità, evitare riforme strutturali, gestire il consenso attraverso piccoli favori distribuiti in modo capillare.
    I lavoratori “mid skilled”, cioè con competenze tecniche medio-basse (operai specializzati, diplomati tecnici, figure in grado di usare macchinari ma non progettare sistemi complessi), sono i più richiesti, perché sono quelli che effettivamente servono per mandare avanti queste catene produttive. Non hanno bisogno di alta formazione universitaria, ma neanche possono essere manodopera del tutto non qualificata.
    Il problema è che il mercato del lavoro mondiale sta andando in tutt’altra direzione: competenze digitali, capacità di gestire processi automatizzati, ibridazione tra tecnica e soft skills. L’Italia, rimanendo bloccata in questo modello da “capannone anni ’80”, si trova sempre più a corto di competitività.
    Il livello educativo degli imprenditori italiani, in particolare nelle PMI, è spesso un fattore critico che contribuisce alla stagnazione del sistema produttivo. Molti imprenditori, soprattutto nelle piccole realtà a conduzione familiare, non hanno una formazione avanzata o specifica in gestione aziendale, innovazione o digitalizzazione. Questo limita la loro capacità di adottare strategie moderne e competitive.
    Nel 2020, circa il 60% degli imprenditori di PMI non aveva una laurea, e molti non avevano seguito corsi di aggiornamento professionale.
    Molte PMI sono gestite da figure che hanno ereditato l’azienda senza una preparazione formale in economia, management o tecnologia, spesso istruiti in casa. La gestione è spesso basata sull’esperienza pratica o su approcci tradizionali, che mal si adattano a un mercato globalizzato.
    Gli imprenditori italiani, soprattutto nelle PMI, investono poco nella propria formazione, dopo il 2000 gli investimenti in formazione sono scomparsi o quasi dalle piccole e medie aziende.
    Paesi come Germania o Olanda, pur avendo un tessuto di PMI, hanno tassi più alti di imprenditori con formazione universitaria o tecnica avanzata. In Germania, ad esempio, il sistema di formazione duale (che combina teoria e pratica) produce imprenditori e lavoratori con competenze tecniche elevate, favorendo l’adozione di tecnologie avanzate anche nelle piccole imprese.

    Whatever, man

  • Informazione finanziaria su Repubblica.
    vertigoundefined vertigo

    informazione e repubblica non possono stare nella stessa frase.

    Whatever, man

  • La Cancel Culture non è di Destra ne è di Sinistra, è religiosa.
    vertigoundefined vertigo

    rossomoto Amiga Unicorn la risposta è un po’ lunga

    L’eccezionalismo americano non è semplice patriottismo. Il patriottismo lo trovi ovunque: è l’orgoglio di appartenere a una nazione, di identificarsi con i suoi simboli, la sua storia, i suoi successi. È “amo il mio Paese” e basta.

    L’eccezionalismo invece è un salto di livello: è la convinzione che gli Stati Uniti non siano solo “un Paese tra tanti”, ma abbiano una missione speciale, quasi provvidenziale, nel mondo. È un’ideologia vera e propria, con radici religiose e storiche molto profonde.

    In Europa l’eccezionalismo è “di prestigio”, un discorso culturale o politico che serve a distinguersi dagli altri.
    In USA l’eccezionalismo è “di destino”, un fondamento identitario che crea un bias permanente.

    Ecco perché non sono comparabili: il francese può smettere di credere nel “grandeur” e rassegnarsi a essere un attore medio in Europa; l’italiano può accettare che anche altri facciano da mangiare bene o si vestano bene; il tedesco può vivere con la colpa storica. L’americano, invece, senza eccezionalismo smetterebbe quasi di essere americano.

    L’eccezionalismo americano è un filtro cognitivo che condiziona in profondità le scelte interne, economiche e sociali. In pratica diventa un bias strutturale gli americani leggono il mondo, e pure sé stessi, attraverso questa lente.

    Tocqueville l’aveva già capito benissimo nell’800. Quando scrive “La democrazia in America” (1835–1840), lui vede qualcosa che in Europa non esisteva: un popolo che non solo aveva istituzioni democratiche, ma che viveva la democrazia come fede collettiva. Per Tocqueville non era solo politica, era antropologia: gli americani avevano interiorizzato l’idea che la loro società fosse unica, eccezionale, con un destino particolare. Tocqueville aveva visto che l’America non era solo una “nuova democrazia”, ma una democrazia missionaria.
    L’eccezionalismo americano è una sorta di narcisismo collettivo, una sorta di auto-narrazione compulsiva in cui la comunità intera deve continuamente confermare a sé stessa la propria unicità.

    Il narcisismo, a livello psicologico, funziona così: l’individuo ha bisogno di vedersi come speciale, di ricevere conferme costanti, e rifiuta qualsiasi immagine di sé che non corrisponde a quella idealizzata.

    L’eccezionalismo americano è la versione sociale di questo meccanismo:
    Si autoalimenta. Ogni vittoria militare, innovazione tecnologica o record economico diventa “prova” che l’America è diversa e superiore.

    Rimuove i fallimenti. Le sconfitte (Vietnam, Iraq, crisi finanziarie) vengono spiegate come incidenti di percorso, mai come segno che il sistema ha limiti strutturali. Rimuove il fatto che gli US non sono quasi mai riusciti a vincere una guerra senza alleati al loro fianco.

    Crea un’identità fragile. Se qualcuno mette in discussione l’eccezionalismo, viene percepito come anti-patriottico. È come criticare un narcisista non lo prende come riflessione, lo vive come attacco personale.

    Produce missionarismo, come il narcisista che vuole che gli altri lo ammirino, l’America sente il bisogno che il mondo intero riconosca i suoi valori come universali.

    Whatever, man

  • "Neurodivergenti" - o della malattia inventata.
    vertigoundefined vertigo

    Per un lungo periodo ho pensato di essere autistico o di essere nel disturbo dello spettro autistico. Naturalmente non ho fatto le cose per moda. Tutto quello che ho fatto è basato su test psicometrici validati tipo test del quoziente di Empatia, TAS-20 (grado di Alessitimia), AQ (Autismo/Asperger), RAADS-R (Autismo/Asperger), SRS-2 (Autismo), ASBQ (Autismo/Asperger), SRS-2 (Autismo). Se do ascolto ai test io sono nello spettro autistico in modo abbastanza marcato con punteggi consistentemente oltre la norma. Tuttavia, se si guarda alle caratteristiche dello spettro autistico, io non ho alcuna caratteristica di tipo stereotipico dello spettro, tranne l’iper-razionalità e stile cognitivo razionale e analitico (che ha in genere chiunque lavori con dati e numeri). Mi sono confrontato con degli psicologi ed è saltato fuori che i miei problemi sono altri.
    Poi provai a frequentare gruppi di asperger, ed erano in genere gruppi di persone che cercavano di farsi diagnosticare per prendere la pensione di invalidità, uno squallore unico.
    C’è un fenomeno crescente che potremmo chiamare “pseudo neurodiversità” o “autismo da moda”, soprattutto online o in certi contesti sociali. Alcune persone oggi si identificano come autistiche o “neurodiverse” senza avere un vero disturbo dello spettro, spesso per ragioni emotive, sociali o persino pratiche (ad esempio giustificare certe difficoltà o ottenere benefici). Oppure perché il loro massimo grado di socialità è quella di interagire con un terminale.
    Questo però non invalida le persone veramente neurodiverse, che sono una quota molto molto scarsa della popolazione, ma cambia il contesto: in certi ambienti, soprattutto nei gruppi online o in alcune comunità, si tende a enfatizzare tratti stereotipici, cercare conferme reciproche o attribuire qualsiasi difficoltà sociale o emotiva all’autismo.
    Molti professionisti della salute mentale si trovano in difficoltà di fronte a problemi complessi o “non categorizzabili” e, invece di scavare più a fondo, tendono a dare una spiegazione semplice, moderna e di moda: “è neurodiversità”.
    Alcuni professionisti, soprattutto in contesti dove la pressione è alta e il tempo limitato, possono usare categorie come “disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento” o “neurodiversità” come una specie di catch-all. È un modo per dire “non sappiamo esattamente come inquadrare questa persona, ma qualcosa di biologico o neurologico ci serve come etichetta”.
    In pratica, dare la colpa a presunte differenze neurobiologiche è un modo per evitare di affrontare problemi più complessi, come: ansia sociale, depressione, stress cronico, stili di pensiero estremamente analitici o rigidità cognitiva che non rientrano in diagnosi canoniche. È come usare “neurodiversità” come jack-of-all-trades dei problemi irrisolti: copre tutto senza dover davvero risolvere niente.
    Tuttavia nelle nuove generazioni ci sono numerosi problemi. Prima di etichettarmi con colui che parla male dei figli unici sappiate che sono figlio unico, figlio di un figlio unico e buona parte dei miei amici sono figli unici anch’essi.
    Molti dei tratti oggi etichettati come autismo o neurodiversità possono derivare da dinamiche familiari e sociali specifiche, in particolar modo se si è figli unici.
    A partire dai primi anni '80, in Italia si è registrata una crescente prevalenza di famiglie con un solo figlio, trasformando il figlio unico nella norma piuttosto che nell’eccezione, come avveniva in passato. Questo cambiamento demografico è strettamente legato al ritardo della maternità, con un’età media al primo parto salita a 32,4 anni nel 2022 e un numero crescente di donne che partoriscono dopo i 35 anni. Tale tendenza, motivata da fattori socioeconomici come la partecipazione femminile al mercato del lavoro e la ricerca di stabilità economica, ha implicazioni significative sia a livello educativo che di salute per i figli, generando distorsioni nelle aspettative genitoriali e aumentando i rischi per il nascituro.
    Il figlio unico, specialmente se nato da madri in età avanzata (>35 anni), è spesso percepito come il “bambino giocattolo” della madre, cresciuto, soprattutto se maschio, come l’incarnazione di un ideale maschile che la madre avrebbe desiderato per sé. Questo fenomeno è aggravato dalle dinamiche genitoriali: le relazioni genitore-figlio giocano un ruolo chiave nello sviluppo di ansia sociale e attaccamento insicuro nei figli unici, a causa dell’intensa attenzione e delle aspettative elevate che spesso li accompagnano.
    I figli unici sono soggetti ad aspettative genitoriali significativamente maggiori rispetto ai primogeniti o ai figli di famiglie con più figli. Queste pressioni risultano ancora più intense quando i figli nascono da madri in tarda fertilità, portando a un carico emotivo che può tradursi in ansia o bassa autostima. La socializzazione dei figli unici differisce da quella di chi ha fratelli, spesso descritta in letteratura come una forma di “deprivazione sociale”. I primi meccanismi di socializzazione avvengono in famiglia, ma in assenza di fratelli, i figli unici si affidano a contesti extrafamiliari, come scuola o vicinato. Tuttavia, i figli unici delle nuove generazioni, a differenza di quelli delle generazioni precedenti che giocavano all’aperto, trascorrono più tempo in attività solitarie con dispositivi elettronici, riducendo le opportunità di interazione diretta.
    L’iperprotezione genitoriale, che il testo descrive come un’educazione “in un barattolo”, è un ulteriore fattore critico. L’iperprotezione limita l’esposizione dei figli unici a frustrazioni sociali, riducendo la loro resilienza emotiva.
    Essere figli unici rende le dinamiche familiari più complesse, con un rischio maggiore di pressioni ingiustificate o conflitti emotivi, poiché le ansie e le aspettative genitoriali si concentrano su un unico figlio. Il concetto di “sindrome del figlio unico”, pur non formalmente riconosciuto in letteratura, riflette la vulnerabilità dei figli unici a diventare il fulcro di dinamiche familiari disfunzionali.

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  • I vostri canali youtubero preferiti
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    podcast di due ragazze che amano esplorare tematiche sociali senza fermarsi all’apparenza.

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  • Modello Cinese
    vertigoundefined vertigo

    rossomoto che poi sarebbe questo Caplan, N. S., & Paige, J. M. (1968). A study of ghetto rioters. Scientific American, 219(2), 15-21.

    Whatever, man

  • La Cancel Culture non è di Destra ne è di Sinistra, è religiosa.
    vertigoundefined vertigo

    Cioccolataio Svizzerese Della svizzera non ho esperienza. Della Svezia invece si, sono alumni di due università una svedese e una norvegese. Tra Svedesi e Norvegesi la differenza è scarsa ai nostri occhi, è un po’ quella tra un milanese e un monzese vista da un non lombardo occidentale.
    Gli svedesi, storicamente, hanno costruito una narrazione nazionale molto forte intorno a valori come l’uguaglianza, il welfare universale, la neutralità internazionale. Questo li fa apparire come un popolo molto “aperto” e cosmopolita, soprattutto a chi li osserva dall’esterno. Ma è tutto falso.
    Sotto la superficie, esistono tratti tipici di molte società nordiche che potrebbero essere letti come forme di nazionalismo implicito, una sorta di ultranazionalismo mediato dalla Jantelagen la lente sociale che media e smorza qualsiasi espressione eccessiva di orgoglio personale o nazionale. In pratica, in Svezia (e più in generale nei Paesi nordici) c’è questa cultura per cui non devi mai vantarti troppo di te stesso o metterti sopra gli altri. Gli Svedesi hanno una sorta ultranazionalismo soft, per così dire “camuffato” da modestia collettiva e di tipo passivo aggressivo. Il modello svedese non espelle in modo violento o diretto, ma crea meccanismi di marginalizzazione implicita: difficoltà a integrarsi nella comunità, nei posti di lavoro, nelle reti sociali. La struttura sociale svedese funziona bene solo se chi entra sa leggere e rispettare codici impliciti, e chi arriva da contesti molto diversi ha più probabilità di scontrarsi con questi meccanismi, creando tensione.

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